Samb-Lumezzane 4-0 | La Samb del terzo millennio, capitolo 5


La Samb del terzo millennio, capitolo 5 | Samb-Lumezzane 4-0

È una delle più straordinarie pagine del romanzo rossoblù quella scritta al termine dell’incredibile stagione 2005/06, diciamo anche la più rocambolesca della quasi centenaria storia calcistica sambenedettese. Di tutto, di più come uno spot RAI di tanti anni fa si vide in quell’annata, che finì anche su “Striscia la notizia” per le raccapriccianti vicissitudini patite da quel gruppo di calciatori. Tutto partì dall’ennesima infuocata estate pallonara vissuta in Riviera dopo l’anno dei miracoli di Ballardini e i suoi.


E sì, perché il “deus ex machina” di quella memorabile compagine, ovvero il procuratore Vincenzo D’Ippolito, dopo aver portato in casa Samb altri due uruguagi Macaluso e Yantorno, finì al centro di un vespaio di polemiche, in realtà più che giustificate, per la vicenda del mancato riscatto delle due colonne sudamericane della stagione precedente, Amodio e Bogliacino, e quindi della loro cessione al Napoli di De Laurentiis senza alcun introito per il club rossoblù. La spaccatura societaria tra Mastellarini e D’Ippolito portò irrimediabilmente alla separazione con la Samb, che si ritrovò così senza il suo uomo mercato e come conseguenza anche senza l’allenatore poco prima designato da quest’ultimo, l’italo-argentino residente a San Benedetto Ortega. Fu solo il primo dei tanti tourbillon di una stagione movimentatissima, in cui sicuramente non ci annoiammo e in cui tanti nomi di risonanza nazionale si successero a San Benedetto. A partire da quelli che avviarono il campionato di C1, in cui la Samb, altra sorpresa, fu inserita nel girone A, dove storicamente ha sempre stentato. Infatti dopo il fallimento della trattativa di acquisizione societaria da parte del broker Di Stanislao, che pochi anni dopo avrebbe condotto il Lanciano al fallimento, quello che restava della Bathford Limited, fiduciaria con sede a Londra che deteneva la società (azionista di maggioranza era il presidente del Pescara Dante Paterna, deceduto nel 2014), affidò l’incarico di allenatore a Nanu Galderisi e quello di direttore sportivo a Beppe Dossena.

Rimase anche una manciata di calciatori dell’anno prima, come i giovani parmensi Gazzola e Cornali, il centrale Zanetti, capitan Colonnello, i centrocampisti Tedoldi e De Rosa e soprattutto il guizzante e dal piede caldo Marco Martini, che subito regalò un’insperata gioia al popolo rossoblù con la doppietta che stese il Novara (2-1) all’esordio in pieno recupero. Tornò anche il possente centravanti Gabriele Scandurra, che dopo le dieci reti nel girone d’andata di due anni prima era incappato in prolungati infortuni e si proponeva di rilanciarsi tornando a vestire la nostra maglia. Il cavallo di ritorno si sbloccò nella successiva trasferta di Teramo, dove fu protagonista il funambolico Perrulli, che a sua volta contribuì al roboante successo (4-1) con cui la Samb si issò in vetta a punteggio pieno. Fu però, come in realtà si sospettava, un clamoroso fuoco di paglia, perché poi gli uomini di Galderisi stentarono a fare gioco, pur sopperendo a ciò con abnegazione e determinazione e riuscendo ad incamerare altre due vittorie contro San Marino e Fermana, quell’anno costante fanalino di coda prima di fallire. L’avventura di Galderisi si concluse presto, a metà Ottobre, alla terza sconfitta consecutiva in trasferta, a Pavia, dove rimasi colpito dall’arroganza di Dossena, che accusò, deridendoci platealmente, noi giornalisti, quando le colpe di quella situazione ricadevano evidentemente sul suo capo per la rosa allestita, oltreché ovviamente sulle malefatte societarie. L’andamento non migliorò però con il successore, l’ex allenatore del Teramo dei miracoli, Luciano Zecchini, che vinse l’unica partita al suo battesimo casalingo contro il Lumezzane (gol del solito Martini): nonostante l’iniziale apprezzamento nei suoi confronti per i recenti trascorsi biancorossi, scarsissimo si rivelò il suo feeling con calciatori ed ambiente. La sua permanenza si limitò fino al termine del girone d’andata, quando irruppe sulla scena rossoblù quel personaggio da Conte Tacchia, che fu lo spregiudicato imprenditore romano Alberto Soldini, negli anni successivi coinvolto in svariati guai giudiziari con accuse di bancarotta fraudolenta.

Probabilmente in prima battuta spalleggiato da qualche altro investitore di maggiore caratura finanziaria a tal punto da affidarsi ad un tandem dirigenziale Miele-Preiti conosciuto a livello nazionale, Soldini, dopo aver acquisito la società e aver avviato la campagna di rafforzamento, ingaggiando per di più i miti romanisti Giannini-Pruzzo come allenatore e vice, rimase col cerino in mano. Il repentino dileguamento del direttore generale Miele, del direttore sportivo Preiti e del segretario Abagnara fecero subito presagire il quadro a tinte fosche, che si stava dipingendo nella società di Viale dello Sport. La Samb perse il suo bomber, Martini, dirottato a Pescara (al suo posto fu ingaggiato Docente), e vide rivoluzionata la sua rosa, ma soprattutto si apprestava a percorrere un’autentica Via Crucis nel girone di ritorno. Ovviamente i calciatori non videro il becco di un quattrino e la gestione tecnica di Giannini si rivelò fallimentare, non ottenendo lo straccio di una vittoria (come era capitato anni prima, nel 1992/93, ad un altro illustre tecnico rossoblù, Zibì Boniek). Vinse invece subito, a Fermo, il neo-mister, “lu bomber” Francesco Chimenti, insediatosi assieme al nuovo direttore tecnico, il giornalista sambenedettese Remo Croci, grazie ad una doppietta del talentuoso Berardi, ma lo squarcio di sereno durò poco, perché il duo indigeno smascherò immediatamente le pessime intenzioni di Soldini, dimettendosi all’istante. E qui cominciò la vera favola di quel campionato, perché con una società completamente assente, salvo quella provocatoria comparsata di Soldini al Comune di San Benedetto in veste di candidato per l’Italia dei Valori (e che valori…), che indusse scene da guerriglia in stile G8 in Viale De Gasperi dovute alla prevedibile reazione della tifoseria, prima si andò in autogestione (e senza allenatore si vinse con una rete di Docente a Lumezzane), poi con la guida dei tecnici delle giovanili Voltattorni e Zaini addirittura si fece un filotto di tre vittorie consecutive contro Pro Sesto (1-0), Pro Patria (3-1) e soprattutto Genoa (2-1 con doppietta di Faieta dopo gravi scontri nel prepartita tra ultras rossoblù e forze dell’ordine). Il risveglio e la crescita di quella squadra furono figli della commovente mobilitazione della città al fianco dei calciatori. Macaluso, che da due anni praticamente non percepiva stipendi visto che proveniva da un’esperienza fallimentare simile a Venezia, non potendo più pagare le rate dell’automobile, andava agli allenamenti con una bicicletta regalatagli da un tifoso. Questo è solo un esempio di quanto fu fatto, tra gli albergatori e ristoratori che fornivano vitto e alloggio, un gruppo di imprenditori coordinato da Remo Croci, che si fece carico delle spese ordinarie, come quelle per bollette e trasferte, la famiglia del calciatore Bagalini che portava nella propria lavanderia gli indumenti della squadra, i tifosi che presenziavano numerosi ad ogni allenamento per far avvertire la propria vicinanza alla compagine. Insomma un periodo da libro Cuore, in cui alle beghe societarie (si avviò la procedura fallimentare con il curatore Zazzetta), si aggiunsero punti di penalizzazione (6) e una tremenda sequenza di infortuni a catena, che misero fuori gioco calciatori del calibro di Scandurra (alla fine realizzò 10 reti come nella sua prima mezza stagione), Berardi, Zanetti e Zamperini. Dovemmo anche subire le invettive del presidente di Lega Mario Macalli (altro personaggio…), che all’intervallo della partita di Pizzighettone radunò noi giornalisti sambenedettesi, dicendone di tutti i colori contro di noi e contro una squadra, che a suo dire rappresentava un’infame macchia per la serie C e il calcio italiano (di lì a poco sarebbe scoppiata Calciopoli…). Ci si mise pure il direttore sportivo genoano Fabiani (attualmente alla Salernitana) a lanciare sospetti di accordi trasversali tra Samb e Spezia (che poi vinse il campionato, seguito dallo stesso Genoa dopo i playoff) subito dopo la sconfitta al Riviera (ma se i punti servivano alla Samb per salvarsi?). Fu davvero un circo, ma il numero più bello doveva ancora arrivare e andò in scena il 28 Maggio. Nel frattempo dopo la scadenza della deroga per Voltattorni in panchina in vista dei playout contro il Lumezzane era stato richiamato Francì Chimenti: nonostante una stagione del genere, che solo in una piazza passionale come San Benedetto poteva stare ancora in piedi (simili drammatiche situazioni si sarebbero riproposte nel 2008/09 in C1 e nel 2012/13 in D con altri due fallimenti) si nutriva comunque una certa fiducia, considerato il doppio successo negli scontri diretti della stagione regolare e le quattro vittorie ottenute nelle ultime cinque giornate. Invece a Lumezzane, che in attacco disponeva di un rampante Matri e in rosa di un giovanissimo Balotelli, la Samb inspiegabilmente non scese in campo: la formazione che aveva sempre impavidamente battagliato si era improvvisamente dissolta. Salvo qualche eccezione, perché per l’unica volta nella mia quarantennale frequentazione calcistica ho visto giocare un calciatore praticamente da solo: Damian Macaluso. Grazie a lui, alla sua tempra e alla sua rete del momentaneo pari la formazione di Chimenti limitò il passivo (3-1) e avrebbe avuto qualche chance da giocarsi ancora nel ritorno al Riviera del 28 Maggio 2006, una data immortalata nell’epopea rossoblù. Il trainer sambenedettese di fronte a circa 4000 spettatori schierò così i suoi: Concetti tra i pali, da destra a sinistra in difesa Macaluso-Zini-Femiano-Colonnello, Faieta-Bagalini-De Rosa in mezzo al campo, Mattia Santoni (sarebbe poi stato protagonista anche nel 2012/13) e Yantorno a supporto del centravanti Docente. Come all’andata fu presente anche al Riviera l’ex direttore generale dei tempi di Gaucci Guido Molinari, che in entrambe le circostanze ci rassicurò sull’immediato futuro sambenedettese e che dopo appena un mese sarebbe tornato con lo stesso ruolo in società. Dopo una settimana di passione fu commovente il messaggio dei calciatori letto ad inizio gara per ringraziare il supporto della tifoseria e dell’intera città e il Riviera si caricò a palla di cannone.

Stavolta furono gli uomini dell’ex calciatore rossoblù Sandro Salvioni a non mettere piede in campo, un po’ perché illusi dal match d’andata, ma soprattutto perché frastornati dall’urlo del Riviera e dalla veemenza di Colonnello e compagni, che in quella partita sfogarono la rabbia montata per una stagione intera. Con la bava alla bocca e sospinti nuovamente dal loro leader e trascinatore Macaluso, i ragazzi di Chimenti azzannarono subito la preda: su corner si avventò l’uruguagio che si avvalse della sponda decisiva di Zini. Poi da calcio piazzato ecco l’inzuccata-bolide sempre del sudamericano, laterale destro di ruolo, ma in realtà anche centrocampista, esterno ed ariete offensivo. Dopo soli venti minuti la Samb aveva già recuperato lo svantaggio dell’andata e sarebbe ora toccato agli ospiti fare la partita, ma non pervennero assolutamente. L’opera si concluse con la doppietta del bomber di fine stagione Docente entro metà ripresa e il penalty fallito dal capitano lombardo Masolini nel finale, quando già i nostri supporters erano a bordo campo. L’invasione dopo il triplice fischio come si usava negli anni Ottanta, la gioia smisurata di essere riusciti in un’autentica impresa, i cori sulle note di “Seven Nation Army”, che sarebbe divenuta la colonna sonora dell’imminente trionfo azzurro ai mondiali tedeschi, e la convinzione che la Samb sarebbe sopravvissuta nella già programmata asta fallimentare, come in effetti avvenne, furono indelebili. Ma soprattutto rimane stampata nella memoria quella mitica immagine di Macaluso a petto nudo con la sciarpa rossoblù al collo e la bandiera uruguaiana in mano portato in trionfo dai tifosi, come una sorta di “lider maximo”. Lui che per tutti noi fu e resterà per sempre molto più che un calciatore!

Alessio Perotti


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